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domenica, febbraio 22, 2004


MARCO PANTANI

Di minchiate sulla morte di Marco Pantani ne sono state dette tante, troppe. C'e' chi non ha perso occasione per snocciolare ferocemente teorie sui farmaci capestro o sulle vergogne del ciclismo italiano, condannando tizio e caio, ma dimenticando che da poche ore era morto un uomo. Per carita', lo scandalo c'e' ed e' bene parlarne, ma con rispetto di chi in quello scandalo ha perso tutto, pagando un prezzo piu' alto del dovuto. Marco era solo quel 14 febbraio. Fuggì da tutto, rifiuto' l'aiuto della famiglia, degli amici, si incaponi' sulle sue idee, sul suo modo di percepire la sua vita. Poco importa se a Rimini era andato per cercare un pusher o solo per sballarsi l'ennesima volta. Conta che era gia' morto da tempo. Dentro. La resa del corpo e' stata solo una seconda morte, quella legale, quella riconoscibile perché vidimata dai medici. Marco e' morto solo nella sua stanza, chiuso nella sua disperazione, amareggiato da un sogno che aveva inseguito con le unghie per anni e che gli era andato in frantumi per uno scandalo che lo travolse e che, tutto lo sappiamo, non interesso' soltanto lui. Il ministro Gasparri si e' distinto per solerzia e tempestivita' nell'oscurare e mettere in dubbio il grande talento di Marco Pantani. Di errori il ciclista romagnolo ne ha fatti, ed aveva pure un carattere spinoso, ma c'e' un limite anche alla critica gratuita e da mangiatore di frittata davanti alla tv. Come sempre i nostri politici parlano quando potrebbero guadagnare di piu' tacendo. Marco aveva talento, un grande talento per al bici, ma anche rabbia, tanta rabbia. Galimberti su la Repubblica offre una riflessione sulla depressione, malattia del secolo che pare dilagare senza discriminazioni. E che fatichiamo a capire, a comprendere, ad ascoltare. Si e' detto troppo su Pantani, non c'e' stato rispetto per la sua scomparsa, nessuno e' riuscito a rispettare i tempi del lutto. Aveva 34 anni. La bici era tutto per lui. Il 16 febbraio, di ritorno dall'ufficio, ho pensato a Marco, a questa brutta storia, a questo finale che non riesco ad accettare ma che purtroppo mi tocchera' affrontare. Ho vagato silenziosa con la mia bicicletta per le strade della mia citta', senza riuscire a rientrare a casa. Marco, il pirata romagnolo dalle mille emozioni, dalla gamba di acciaio e la pedalata di piuma, non c'e' piu'.
C'e' un tempo per tutto: per gioire, per piangere, per criticare. E uno per riflettere sul presente, in silenzio, rispettanto i tempi e le forme di cose piu' grandi di noi.
Ed e' facile parlare degli assenti senza sapere tutta la verita'.


 


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Immagine di bimbo che saluta. Ciao e a presto!

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