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mercoledì, dicembre 18, 2002


CESARE GARBOLI - Rileggendo un articolo su Cesare Garboli scritto da Nanni Delbecchi (pubblicato sul mensile "Ventiquattro" dello scorso anno, quando era ancora di proprietà Mondadori) ho riflettuto nuovamente su fatti politici e di società odierni, che vedono tra i protagonisti la Fiat e il governo Berlusconi, nonché frange carxiane ed agnelliche. Nel marzo del 2001 Cesare Garboli pubblicò, per Einaudi, un saggio di tutto rispetto, "Ricordi tristi e civili", una raccolta di suoi scritti ed interventi sugli avvenimenti politici e culturali della nostra storia recente.
Ma chi è Cesare Garboli? Per chi, come me, non ne sa nulla, o quasi, posso accennare che è un critico letterario molto noto ed apprezzato, sia da studiosi di storia e letteratura, che da lettori così detti comuni. Tra le sue opere di studio e recensione figurano monografie su Natalia Ginzburg, Giovanni Pascoli ed Elsa Morante. È presidente del Premio Viareggio dal '96 e dirige "Paragone letteratura".
In questo articolo-intervista Garboli esterna tutta la sua delusione e il suo disgusto per i repentini e dissacranti cambiamenti politici e culturali avvenuti in Italia dagli anni '60 ad oggi, denunciando l'incapacità della classe politica a governare il Paese e distribuendo responsabilità equamente tra destra e sinistra.
"... L'Ulivo è stato fatto fuori proprio dai suoi stessi componenti. Ma il punto centrale è che, fin dal primo momento, la Sinistra non ha pensato di aver vinto le elezioni, bensì che era la Destra ad averle perse. Di conseguenza pur avendo il potere non l'ha saputo afferrare, evitando di affrontare problemi scottanti come il conflitto di interessi e logorandosi con le lotte intestine."
L'avvento della Fiat rappresentò per l'Italia del dopoguerra una ricca boccata d'ossigeno. Quest'azienda è stata uno vero Stato nello Stato, colonizzando e il Piemonte (che per quasi 30 anni fu il polmone economico italiano) e la mentalità delle classi operaie (che da sempre hanno venerato gli Agnelli, considerati una specie di famiglia reale), grate ai generosi industriali che crearono lavoro, ed assumendo le fattezze di ponte tra governo e società industriale, incanalando finanziamenti e favori dal potere decisionale ed esecutivo all'industria. Oggi tutto questo, che già allora era abbastanza anomalo, è stato stravolto con una rapidità scioccante, e ci ritroviamo con un accentramento ancora maggiore di potenza politica ed economica, stipate nelle mani di chi è al governo.
"La situazione oggi è completamente cambiata: il potere economico in Italia non si fonda più sulle automobili, ma sulle comunicazioni. Il Potere è passato dal Piemonte a Milano, dimenticando del tutto le premesse, per così dire, risorgimentali. Il Piemonte che ha conquistato l'Italia oggi non c'è più."

Garboli considera l'Italia un paese di servi sublimi, abituati, dalla Storia, ad essere colonizzati da stranieri e per natura intrinseca avversi alle leggi, dunque naturalmente portati all'illegalità, visto che la legalità è vissuta come oppressione. Non sembra perciò strano che al governo gongoli una simile mentalità "anti-legalità".
"La legalità, pensiamo, è un trucco dei potenti; se voglio farmi strada posso infrangerla."
Forti le critiche anche all'Università Italiana "talmente compromessa che temo non ci sia rimedio", dalla quale lui è letteralmente scappato per incompatibilità di vedute, obiettivi ed ideali. "Vi conservo degli amici, certo, che però non so come facciano a resistere in un ambiente così mefitico. Si vede che hanno delle maschere antigas che io non possiedo."
La visione di Garboli dell'Italia di oggi è sconcertante, a tratti (allucinante?) deprimente, ma di sicura provocazione. Nelle sue parole non c'è resa, né disillusione, ma ancora molta voglia di pungere e di dire cose scomode, soprattutto cose scomode, con la speranza di stimolare la riflessione e l'autocritica in un Paese dove si imbavaglia la diversità d'opinione e dove la vecchia e anossica burocrazia si mescola alle nuove forme di dominio e di controllo mediatico.


 


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Immagine di bimbo che saluta. Ciao e a presto!

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