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lunedì, aprile 07, 2003


AIMEE BENDER - Tra le tante (troppe) cose che sto cercando di fare, in questi giorni sto pure leggendo il romanzo di Aimee Bender, "Un segno invisibile e mio" con entusiasmo decrescente. Folgorata dai suoi racconti, che considero innovativi, toccanti e surreali, ho intrapreso la lettura di questo romanzo con i migliori propositi.
Ho sempre pensato che per uno scrittore non risulta sempre ovvio o facile passare dalla forma del romanzo a quella più "spot" del racconto. Credo esistano autori più adatti ad una delle due forme i quali, spinti dalla cuiosità e dalla necessità di sperimentazione, tentano di approdare all'altra forma, con risultati eterogenei e non sempre idilliaci. Infatti non sempre lo scrittore di racconti riesce a rendere allo stesso modo le emozioni, gli squarci di realtà e gli eventi anche in un romanzo, il quale, sia strutturalmente che in concetto, diverge non poco dalle opere brevi di narrativa. Viceversa non sempre un narratore prolisso, che va a nozze col romanzo, è capace di condensare in poche cartelle storie, sentimenti ed emozioni. Lo stesso Carver, poeta e scrittore, si è sempre e solo cimentato in racconti (dopo la poesia) perchè non si sentiva a proprio agio nella forma più lunga a dispersiva che è quella offerta dal romanzo.
Nella mia modesta opinione Aimee Bender esprime il suo talento al meglio solo nella forma condensata del racconto. "Un segno invisibile e mio" inizia mettendo molta carne al fuoco e facendo l'occhiolino al vasto immaginario dell'autrice - nella più rosea tradizione del "realismo magico" che qui diventa quasi una proiezione di un sogno all'lsd - ma poi non decolla. La protagonista resta imbalsamata nelle sue manie, nelle sue paure e si addentra nel mondo come un pesce che nuota in un fondale marino muto. Il romanzo, ecco, mi pare senza suoni, una specie di colla vinilica che cola sul tavolo, denso, gommoso e multiforme.
Le idee ci sono, i temi toccati sono parecchi e tutti molto importanti (morte, realizzazione personale, maturità, etc...) ma tutto ciò sembra un carnevale di idee, dove nessuna di esse in particolare segna il percorso intrapreso.
Ho come l'impressione che le nuove correnti di narrativa, che tentano di raccontare la vita così com'è, descrivendo situazioni che non presentano nè particolari incipit nè sensazionali finali, rimanga appiattita nello scontro tra i rutilanti fatti del quotidiano e l'immaginazione. Credo occorra spingere un po' più in alto l'onda creativa, farla guizzare verso il nocciolo dei sensi, fin dove si trova il significato della narrazione, dei rutilanti fatti e dell'immaginario onirico - privato o collettivo.


 


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Immagine di bimbo che saluta. Ciao e a presto!

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